Il vino in passato costituiva un elemento essenziale per l’alimentazione umana: un tempo non si beveva vino per piacere ma per necessità. Fino al XIX secolo, nella società occidentale l’acqua è stata considerata inadatta al consumo in quanto temibile veicolo di infezioni e malattie; si evitava pertanto di berla.
A Boschetto, come in buona parte della Vallemaggia e delle altre vallate sopracenerine, la vite era allevata a pergola (töpia); tale metodo consentiva una migliore esposizione al sole dei tralci distesi orizzontalmente, come pure di preservare i pampini dal morso degli animali al pascolo; particolarmente alte erano le pergole sopra le callaie onde permettere il passaggio delle persone con il gerlo carico, e sopra le vie di comunicazione più importanti per non ostacolare il transito di passeggeri a cavallo.
La vite era allevata anche sui tetti di stalle e abitazioni, in modo che potesse beneficiare del calore irradiato. Tipici della nostra regione, tanto da costituire una caratteristica distintiva del paesaggio, sono i sostegni di pietra conosciuti col termine dialettale di carásc. Questi monoliti, che arrivano a misurare anche 4 metri di lunghezza, venivano ricavati da grossi blocchi di gneiss a venatura diritta e regolare mediante una tecnica che prevedeva la preparazione con punta e mazzotto di una serie di incavi allineati entro cui venivano inseriti dei cunei di frassino; questi, opportunamente innaffiati, si gonfiavano fino a determinarne lo spacco, e i carásc così ottenuti portano spesso in bella evidenza i segni di tale operazione.
A Boschetto l’area destinata alla coltura della vite doveva essere estesissima, come testimoniano i numerosi carásc ancora piantati in zone da tempo riguadagnate dal bosco.